Quasi arzilli, quasi un libro

Quasi-arzilliAmore a prima vista. Lo guardi in libreria, leggi la quarta di copertina e ti scappa un sorriso, leggi l’incipit mascherato da prologo che stranamente non prelude a niente quando ci si aspetterebbe fosse una metonimia narrativa che avrebbe fatto capolino più avanti nel romanzo, e ti convinci che puoi dargli fiducia, che quel titolo accattivante “quasi arzilli unito al sorriso d’istinto affiorato poco prima possono valere i dodici euro del libro e un poco del tuo tempo da passarci in compagnia. E poi ti ritrovi con l’amaro in bocca appena finito.

Quasi arzilli, di Simona Morani alla sua opera prima, è un libretto presuntuoso, già dalla copertina: romanzo. Ti aspetti qualcosa di costruito, di emozionante e invece ti trovi davanti ad un racconto breve allungato, che sembra scritto da un’adolescente alla sua prima produzione narrativa e non da una trentenne che pure si ipotizza averla archiviata quella fase di scrittura creativa, con dialoghi che Cerami se li avesse potuti leggere li definirebbe un “a parte, un a parte travestiti da dialoghi”. Quasi arzilli è un libro scritto con accanto i manuali di scrittura creativa, che non porta a niente, non emoziona, non crea empatia per i personaggi appena accennati e presentati con tecniche da narrazione onnisciente di fine ‘800. Non si prova vicinanza per l’ingenuità di Ettore che pure pare essere il vero protagonista del romanzo, non si prova compassione per l’inettitudine di Corrado il vigile raccomandato dallo zio sindaco, né riprovazione per il comportamento della massima Istituzione locale. Non si fa il tifo per Gino il professore burbero rimasto solo che vuole vivere la sua vita in maniera spericolata e irrazionale, né per Orvilla la gattara rimasta sola, non si prova invidia per Elvis il sessantottino di ritorno che ha ereditato la libertà di sprecare i suoi giorni, non si crea empatia nemmeno con Basilio il partigiano o si prova pena per la nipote Rebecca, per la sua storia. Non fa simpatia nemmeno il medico, che pure verso il finale riabilita il suo cinismo, o il parroco Don Giuseppe che cerca di bilanciare la sua ipocrisia religiosa con la sua verità peccaminosa di uomo avido, né spaventa invece il pragmatismo del direttore della Villa dei Cipressi. Molto in generale ci sono personaggi e comprimari messi lì per riempire pagine (Goran il fruttivendolo, Irma e Cesare, Franca e Riccardo, Nicola e Carmen, Mafalda, Teresa la psicopatica, Olindo ed Eleonora, Michelina la bambina, solo per citarne alcuni) e, scolasticamente, dal momento che vengon fuori per mancanza di motivi narrativi bisogna dargli un ruolo, presentarne superficialmente un punto di vista sul mondo, farli interagire con qualche espediente. Che rimane, appunto, un espediente e il tutto si legge. Si sente.

In quasi arzilli, di Simona Morani, si presenta all’ingrosso un paesino tutto, sfiorando appena ogni personaggio con la pretesa di volerne raccontare il proprio vissuto, il proprio privato, una fase della vita lontana anni luce da quella che può essere la realtà: i vecchi non sono tutti rincoglioniti, non hanno tutti l’ossessione della morte, non sono tutti orientati alle peripezie pur di rimanere liberi nelle proprie prigionie. Ed è quell’idea di esaustività che si legge fra le righe ad infastidire maggiormente, unita alla presenza di sviamenti lungo la lettura che non portano a niente e non arricchiscono in niente la storia, che potrebbe essere così riassunta: un bar che non è un bar in un paesino, popolato da anziani che non nuocciono a nessuno, con paturnie personali e legate alle età e agli acciacchi, che infastidiscono un vigile raccomandato tanto che della cattura del più spericolato si fa scopo di vita, coadiuvato dallo zio sindaco che vede nella popolazione del proprio territorio una opportunità, un valido motivo di lucro, attraverso l’attrazione degli investimenti di una casa di riposo. Seppure lo spunto potrebbe risultare interessante, visto così, per come è costruito il libro (non avvincente, non emozionante, non irriverente, non palpitante) con una narrazione lineare e “fabulatoria” a tratti persino stucchevole, con dialoghi telefonati ed elementari, con punteggiature distribuite a caso, il risultato è solo uno: aver perso del tempo a leggerlo.

Che non me ne voglia Simona Morani, faccia pulita e radioso avvenire, questa è solamente l’opinione di un lettore, suo malgrado competente, che comunque le augura il miglior successo possibile. Del resto il mondo è bello nella sua varietà e seppure io non comprerò più suoi altri libri ci saranno da ora in poi (è solo un libro d’esordio) suoi personalissimi fan. E’ noto: le critiche più che gli entusiasmi spesso ipocriti fanno crescere. Al di là degli interessi delle case editrici.

Ecco un estratto del libro e simbolico di quanto detto, di un dialogo come non andrebbe scritto e di una punteggiatura ridondante (segnalata con un grassetto):

” Teresa!” sbaritò l’uomo sconvolto.
” Mamma!” urlò la donna al suo fianco.
A quelle urla Ettore si svegliò, e, trovandosi gli sconosciuti davanti, scosse Teresa per svegliarla.
“Ah, sei tu?” chiese lei, nel vedere il baffuto.
“Si, sono io, Teresa! Olindo, tuo marito! E lei è Eleonora, tua figlia, Cristo santo! Cos’hai combinato?”

Controlux

Daniele Angelucci nasce e cresce a Roma, compie diversi studi infiniti che non vale la pena di menzionare nel dettaglio se non per alcuni aspetti salienti: studia comunicazione alla Sapienza, studia grafica in un istituto professionale salesiano, oltre al diploma di indirizzo informatico, studia sceneggiatura alla scuola Omero con Isabella Aguilar e studia persino – diventandolo – da amministratore di condominio. Daniele Angelucci, o colui che ritiene di esser tale da 33 anni suonati, nel tempo ha dovuto relegare la sua intima passione, la scrittura, ad attività di contorno perché da oltre dodici lavora in un settore che non gli si addice e che non gli riesce di abbandonare. Eppure… Eppure di cose ne ha provate a fare, di risultati ne ha raggiunti come autore e tutti o quasi sono decisamente dimostrabili con una rapida ricerca su google e su youtube. Di spirito combattivo, il fu Daniele Angelucci, pur fra mille porte chiuse non intende smettere. Non si ferma. Continua a scrivere, a sperare di farcela. Ha progetti, idee da vendere, voglia di realizzarle, di partecipare e di realizzarsi come autore. Perché, prendendo a prestito le parole di un “tale” che fece della sua fame e della sua follia un successo globale, il fu Daniele Angelucci si sente proprio così affamato e folle. Così folle da non smettere di sognare un risveglio che lo porti ancora a sognare, un presente d’autore.