Ascoltare la musica caraibica #1

MELTING POT CARAIBICO – parte prima –

L’eredità africana

Come è stato possibile che i suoi stili musicali, formatisi in una popolazione rappresentante meno dell’1% della popolazione mondiale, disseminata in un arcipelago, mancante di peso economico e politico, abbiano avuto una popolarità transnazionale?

Non mi propongo certo di dare risposte a queste domande, anche se alcune ipotesi potranno trapelare dagli argomenti trattati.

Se l’eredità degli Amerindi ha avuto un piccolo ruolo nella musica post colombiana, allora dobbiamo dare uno sguardo altrove per trovare le radici della musica caraibica nella sua quasi totalità, specificamente nelle culture musicali dell’Europa e dell’Africa.

"Boncocero", suonatore di Bongò, Casa de la Trova, Santiago de Cuba

“Boncocero”, suonatore di Bongò, Casa de la Trova, Santiago de Cuba

I Caraibi sono composti da una grande varietà di gruppi etnici, includendo indiani, cinesi, siriani e europei caucasici. In tutta la regione i discendenti dei 4 o 5 milioni di africani schiavizzati dai coloni sono un comune denominatore. In isole come Haiti essi costituiscono quasi l’intera popolazione, mentre perfino nella più caucasica Portorico le comunità nere hanno esercitato un’influenza musicale enorme nelle sue proporzioni.

D’altronde, proprio come le musiche Afro-Americane e le loro derivazioni, come il rock, hanno invaso la cultura mondiale del XX secolo, così gli elementi derivanti dall’Africa hanno contribuito a dare alla musica caraibica la sua distinzione rendendola famosa internazionalmente.

La popolazione caraibica è stata tradizionalmente divisa non solo dalla geografia insulare ma anche dagli idiomi e dalla frammentazione politica al tempo delle colonie. Allo stesso tempo, però, ha condiviso l’esperienza comune della schiavitù, lo sradicamento culturale che ciò ha implicato, e il ruolo avuto nel processo della creazione di culture creolizzate.

Durante l’era coloniale l’Africa subsahariana era la casa di centinaia di gruppi etnici con differenti lingue e strutture sociali , che andavano dai semplici cacciatori e raccoglitori come i Pigmei, a società più elaborate come gli Yoruba, con grandi città e reti commerciali e associazioni specializzate e organizzate.

Sebbene la musica africana contiene nel suo insieme tante diversità, è possibile parlare di una serie di caratteristiche generali che sono in comune un po’ in tutto il continente (con esclusione degli Arabi e dei Berberi) e che continuano a permeare le musiche degli Afro – caraibici e degli Afro – americani.

Una peculiarità socio musicale della musica africana è la partecipazione collettiva, una caratteristica tipica di molte società “senza classi” che non conoscono la distinzione tra esecutori e consumatori. I solisti e gli specialisti hanno un ruolo importante in Africa ma è estremamente comune che tutti o la maggior parte di una comunità rurale partecipi attivamente agli eventi musicali, cantando, accompagnando con il battito delle mani, danzando o suonando uno strumento.

Questa consuetudine prevalente considera quindi il talento musicale come qualcosa di innato in ognuno, benché presente a differenti livelli, piuttosto che una proprietà riservata solo agli specialisti.

Per questo motivo la partecipazione collettiva, che inizia da quando il bambino è avvolto alla schiena danzante della madre, tende a promuovere la cultura e lo sviluppo del talento musicale a un più alto livello di quello presente in società più stratificate.

Nel Nuovo mondo si è riprodotto il retaggio musicale di provenienza e si è perpetuato per il fatto che la maggioranza degli afro- caraibici occupino le stesse classi sociali dalle quali provengono, ossia le più basse.

Tra le maggiori caratteristiche musicali ciò che più si distingue è l’enfasi del ritmo .

La musica africana è ricca di melodia, varietà timbriche e perfino armonie, ma il ritmo è spesso il parametro estetico più importante , quello che particolarizza le canzoni e i generi, che guida il focus del musicista e l’attenzione dell’ascoltatore.

Di conseguenza, i ritmi della tradizione musicale africana e afro-caraibica sono spesso formidabilmente complessi, non riscontrabili in una similitudine con il folk occidentale o con la musica classica. La complessità ritmica deriva soprattutto dal rapporto tra le battute regolari (silenti o percettibili che siano) e gli accenti anticonvenzionali. Questa caratteristica viene spesso descritta come “sincope”, ma il termine è vago e problematico ed è, in verità, la nozione di una singola battuta nei multipli e distinti strati di molta musica africana d’insieme.

Quando due o più modelli ritmici si combinano, il risultato è ciò che i musicologi chiamano poliritmia o polimetria che è l’organizzazione ritmica dell’Africa centrale e occidentale.

Un’importante e problematica questione è se le differenti politiche e attitudini dei governi delle colonie permisero differenti gradi di conservazione della cultura africana. I critici hanno indicato che esistono diversi criteri per misurare la durezza dello schiavismo. In termini di alimentazione , longevità e il grado di riproduzione, gli schiavi nord americani sembra che se la siano passata considerevolmente meglio degli schiavi caraibici e brasiliani. Per altri aspetti invece le abitudini e attitudini nelle colonie iberiche e francesi hanno favorito un grado maggiore di autonomia culturale per la popolazione nera. In primo luogo era molto più facile per gli schiavi delle colonie spagnole e francesi comprare la propria libertà (emancipazione) che per quelli nord americani e i proprietari di schiavi erano più propensi a liberare i loro figli mulatti avuti da schiave. Estese comunità di neri liberi a Cuba e nelle isole vicine formarono associazioni socio-religiose (Cabildos) mantenendo la loro indipendenza culturale, includendo in essa le tradizioni musicali. Altro ruolo importante lo ha avuto la particolarità del Cattolicesimo, con elementi propri più tolleranti rispetto all’inflessibile Protestantesimo.

Tali argomenti possono parzialmente spiegare, per esempio, perché negli Stati Uniti il drumming neo africano è stato a lungo fuorilegge eccetto che a New Orleans dove, per l’influenza culturale franco caraibica in quella città, è stato invece tollerato. Ciò spiega anche perché la neo musica africana e la religione africana a Cuba sono così diffuse e così marginali nei Caraibi britannici.

Altro fattore che spiega i differenti gradi di conservazione della cultura africana nel Nuovo Mondo è la durata della tratta degli schiavi nelle diverse aree dell’America. Nelle colonie britanniche l’importazione degli schiavi terminò nel 1807 e nel 1870 erano pochi gli schiavi nati in Africa. Da qui discende il naturale indebolimento delle tradizioni di origine africana, dovute al lungo isolamento dall’Africa. Cuba, invece, continuò a ricevere schiavi fino al 1873 consentendo sempre fresche infusioni della cultura africana.

Dopo questa breve e spero esauriente panoramica sulle radici africane, nel prossimo episodio affronteremo l’influenza europea sulla musica caraibica.

Moreno Stortini

nato a Bastia Umbra vive attualmente a Roma, funzionario pubblico, interessato da sempre alla musica e da essa condizionato nella vita e nelle scelte. Per lui la musica è poesia, amore per la bellezza, motore della propria vita. Negli anni ’70 il Rock, poi ascolta e legge di Jazz, infine l’America latina, dove vive per un breve periodo e poi frequenta, affascinato dalla musica, dalla storia e dallo studio delle civiltà precoloniali e delle radici africane, indelebili per i popoli delle Ande e dei Caraibi. Conquistato da questo miscuglio di razze, di suoni e di lingue, che interpreta come artefici della creazione di un sentimento nuovo di Musica e di Letteratura, capace di segnare i destini del mondo occidentale e non solo. E, last but not least, l'Afro latino con il jazz, una bomba di suoni e di emozioni che per lui “non ha uguali”. Innamorato di ciò, spende voglia ed emozioni che spera di trasmettere.