12 Anni Schiavo

12 Anni Schiavo (Twelve Years a Slave), con la regia di Steve McQueen, è la trasposizione cinematografica del lavoro autobiografico di Solomon Northup del 1853.

Solomon (Chiwetel Ejiofor) è un violinista nero, libero cittadino in Saratoga (stato di New York), rapito da trafficanti di schiavi e deportato in Lousiana dove verrà venduto appunto come schiavo e vi resterà – al servizio di diversi padroni – per ben 12 anni. Fino al giorno in cui, al servizio di Edwin Epps (Michael Fassbender) non incontra il canadese abolizionista Samuel Bass (Brad Pitt – coproduttore del film – in una piccola ma importante parte nella narrazione della storia) che lo aiuterà a riconquistare la libertà scrivendo alla famiglia in Saratoga dove si trovasse Solomon e ciò che gli era accaduto. Solomon verrà rintracciato e liberato. Il film si chiude con il protagonista che riabbraccia la sua famiglia ed i titoli di coda accennano quanto accaduto in seguito. Le cause legali intentate da Solom contro i suoi schiavisti tutte finite con un buco nell’acqua.

Steve McQueen firma un capolavoro. Ha approcciato la materia sempre difficile della schiavitù in America in modo lucido, rigoroso e mettendo al bando facili moralismi e sentimentalismi. I negri sono oggetti. Concetto racchiuso magistralmente nella frase del malvagio Epps:

Un uomo fa quel che più gli piace con ciò che gli appartiene.

Paradossale è il suo uso delle sacre scritture per giustificare la proprietà sui suoi “animali” e la capacità di potergli infliggere dure punizioni. Bersaglio principale di Fassbender è Patsey (Lupita Nyong’o) per cui sviluppa una vera e propria ossessione.

Ciò che mi ha colpito di più del film è come Solomon viene privato di tutto. Non solo della libertà, ma anche della sua identità. Non ha più i suoi documenti per dimostrare il suo status di uomo libero. Viene “rinominato” in Platt dal cinico mercante (il bravissimo Paul Giamatti) . In viaggio in nave verso la Luisiana viene ammonito da un altro schiavo – evidentemente più esperto di quella condizione – che se Solomon avesse tenuto alla sua sopravvivenza mai e poi mai avrebbe dovuto rivelare a chiunque di sapere leggere e scrivere. Le teste pensanti da sempre son scomode a chi vuole esercitare il controllo. Non a caso Solomon passerà il tempo ad ingegnarsi sul come poter far pervenire una lettera alla sua famiglia, trafugando pergamene, fabbricandosi una penna di fortuna e usando succo di more come inchiostro.

Il film viene premiato con ben tre Oscar: miglior film, migliore sceneggiatura non originale (John Ridley) e migliore attrice non protagonista (Lupita Nyong’o).

Statuette veramente meritate.

Max

Max ha fatto molte cose nella sua vita e gliene fosse riuscita una. Non sa fare nulla, ma lo sa fare molto bene. Si occupa di arte contemporanea per lavoro e per difetto. Si interessa di filosofia per trovare la domanda fondamentale sull'universo e tutto quanto per cui la risposta è 42. Da buon seguace Pirroniano, oltre ad essere una scheggia impazzita, esercita costantemente la sospensione del giudizio su ogni questione. Ma prima o poi riuscirà a dimostrare l’esistenza di Dio; o la sua non esistenza. O tutte e due insieme. Scrive male ma non glielo dite; crede di essere una sintesi tra Eco, Saramago e Houellebecq. Lasciatelo vivere con le proprie illusioni. A voi non creano danni.